domenica 16 ottobre 2011

Mattatoio n.5

"Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare a un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra i nemici non devono riempirli di soddisfazione o di gioia.
Ho anche detto loro di non lavorare per società che fabbricano congegni in grado di provocare massacri, e di esprimere il loro disprezzo per chi pensa che congegni del genere siano necessari."
Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5


In questi giorni ho finito di leggere “Lettere contro la guerra” di Terzani. Dovrebbe essere letto e studiato a scuola al pari della Divina Commedia e I promessi sposi. Bisognerebbe leggerlo almeno un paio di volte all’anno. È così sostanzioso e fondamentale che vorrei poterlo imparare a memoria. Non dimenticare mai.
Ricopiare alcune parti dell’ultimo capitolo è per me un buon modo per fare il punto, brevemente, su quello che sta succedendo ora, ovunque.

La semplicità è un enorme aiuto nel fare ordine. A volte mi chiedo se il senso di frustrazione, d’impotenza che molti, specie fra i giovani, hanno dinanzi al mondo moderno è dovuto al fatto che esso appare loro così complicato, così difficile da capire che la sola reazione possibile è crederlo il mondo di qualcun altro: un mondo in cui non si può mettere le mani, un mondo che non si può cambiare. Ma non è così: il mondo è di tutti.
[…] l’individuo è sempre più disorientato, si sente perso, e finisce così per fare semplicemente il suo piccolo dovere nel lavoro, nel compito che ha dinanzi, disinteressandosi del resto e aumentando così il suo senso di isolamento, il suo senso di inutilità.

Guardiamo all’oggi dal punto di vista del domani per non doverci rammaricare poi d’aver perso una buona occasione. L’occasione di capire che il mondo è uno, che ogni parte ha il suo senso, che è possibile rimpiazzare la logica della competitività con l’etica della coesistenza, che nessuno ha il monopolio di nulla, che l’idea di una civiltà superiore all’altra è solo frutto di ignoranza, che l’armonia, come la bellezza, sta nell’equilibrio degli opposti e che l’idea di eliminare uno dei due è semplicemente sacrilega.
Questa mania di voler ridurre tutto ad una uniformità è molto occidentale. << Non pensa che il mondo sarebbe molto più bello se ci fosse una sola religione per tutti gli uomini?>> [domanda rivolta al mistico indiano Vivekanada alla fine dell’Ottocento alla fine di una sua conferenza] <<No>> rispose <<Forse sarebbe ancora più bello se ci fossero tante religioni quanti sono gli uomini.>>

Quella mente, finora impegnata prevalentemente a conoscere e ad impossessarsi del mondo esterno, come se quello fosse la sola fonte della nostra sfuggente felicità, dovrebbe rivolgersi anche all’esplorazione del mondo interno, alla conoscenza di sé.

E concludo con una persona e due parole: Badshan Khan e “Hei Ram”.


Badshan Khan, il “Gandhi della frontiera”, il “Musulmano soldato di pace”, un afghano della regione di Peshawar che si unì giovanissimo al movimento di Gandhi e che dedicò tutta la sua vita a convincere la sua gente, i pashtun, una delle etnie più bellicose della terra, a rinunciare alla violenza e al loro antico codice d’onore che impone ad ognuno il badal, l’obbligo di vendicare col sangue ogni atto di sangue o anche un semplice insulto subìto dall’etnia, dal clan, dalla famiglia: un codice di vendetta, questo, che ha macchiato da secoli la storia afghana. […] Il suo ultimo messaggio fu una semplice domanda. << Perché si producono ancora delle armi di distruzione di massa? >>

In un recinto di pietra rosa c’è un grande prato verde al centro del quale, nel posto dove il corpo del Mahatma venne cremato, brucia ora una fiamma costante. Tutto è trascurato e sporco. Non ci sono fiori nelle aiuole, né acqua nelle vasche piastrellate lungo il percorso. Non c’è neppure Gandhi, né il suo spirito. Nonostante ci vadano i turisti e i dignitari stranieri in visita in India, è come se quel posto, con quel che rappresenta, non fosse più di moda.
Sulla semplicissima, disadorna piattaforma di marmo nero sulla quale qualcuno ha gettato una manciata di fiori, spiccano due sillabe in Hindi: Hei Ram, << Oh, dio >>, che Gandhi pronunciò quando venne raggiunto dalle pallottole del suo assassino. È come se Bapu, il padre, le ripetesse oggi che l’India, dimenticando il suo esempio, lo ha ucciso una seconda volta. Hei Ram.

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