lunedì 5 dicembre 2011

Cecilia.

La città si lascia andare debolmente all'autunno, non c'è il freddo pungente e umido di Bologna a cui sono abituata. Il sole riscalda ancora, le giacche rimangono aperte.

Palau Reial

Montjuic

Torno per la terza volta al MEAM.
Un amico aveva voglia di un pomeriggio artistico.
Lui non essendo italiano non ha mai letto I promessi sposi. E non conosce la storia di Cecilia. Il racconto che affiora ogni volta che vedo questo quadro:


Juan Manuel Cossìo
Una Pietà con Julia.

E così colgo l'occasione per raccontargli la storia. In spagnolo zoppica parecchio. Non credo di essere riuscita a trasmettere quanto per me sia toccante la vicenda. Può averlo solo intuito dalla mia voce che si incrina, e da qualche lacrima traditrice che si affaccia a inumidire gli occhi.

Manzoni - I promessi sposi: dal cap trentaquattresimo

         Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono piú forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de' volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.
         Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, "no!" disse: "non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete." Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: "promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così."
         Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, piú per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: "addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri." Poi voltatasi di nuovo al monatto, "voi," disse, "passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola."
         Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina piú piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.

lunedì 28 novembre 2011

Signor Rochester

Ho una mantellina. 
Mi fa sembrare Cappuccetto Rosso. 
Ma non è rossa. 
È color petrolio.


Quando la indosso divento il Signor Rochester, e scendo in sella al mio cavallo nero per la brughiera inglese. E mi perdo vivendo quella natura incontaminata, fredda e inospitale, così potente, così straordinaria in primavera. 


Ho adorato Jane Eyre, molto più di Cime tempestose, un po`di più di Orgoglio e pregiudizio. Il mio film preferito da piccola era Il giardino segreto. Se fossi un paesaggio sarei quella brughiera. E avrei al mio interno quel giardino segreto.


Camminavo sotto una pioggia fine, quella che ti lascia indecisa se valga la pena aprire o meno l'ombrello. Nel mio caso non incontro la splendida e anticonformista Jane Eyre uscita per fare una passeggiata. Vedo la versione spagnola di questa locandina.



Il trailer per ora mi ha convinto. Lo andrò a vedere.

Altro film che mi incuriosisce: La fine è il mio inizio. Dopo essermi innamorata di uno dei suoi libri non posso non guardarlo. E poi c'è Elio Germano, che mi è piaciuto tanto in Mio fratello è figlio unico.

mercoledì 23 novembre 2011

Finde Shows.

Venerdì sera, spanish fiesta fiesta come si deve qui. La terra delle persone che non fanno della loro sessualità incompatibile con i dictat cattolici un problema.
Ane, tesoro basco finito casualmente a fare tirocinio nel mio laboratorio. Lei e i suoi amici carini carini. Discoteca nei cui bagni si torna a parlare con le piastrelle. E si ride a crepapelle. 
C'è il deficente-palla al piede, mi tocco la nuca con disinvoltura, è il segnale, lei mi chiama. Scusa, davvero, molto interessante quello che dici, ma devo andare. Giochini adolescenziali che adoro.
C'è il paladino dell'amore vero. Visione disneyana.
C'è il gregge di belghe insipide come l'insalata omonima. Tutto il mondo è beeeeello, guarda come luccicaaaaa. Impalpabili più dello zucchero a velo vanigliato. Guarda, mi sento così vecchia, ho vent'anni, vorrei averne ancora diciotto. Sai, i vent'anni segnano la metà della vita, dopodichè si diventa adulti e diventa tutto più noioso.
Ancora una volta dopo troppo poco tempo cerco di trattenere lo sguardo da balle di fieno che rotolano nel deserto.
Così scopro che per loro è normale sposarsi e mettere su famiglia intorno ai venticinque anni.
Le sorrido comprensiva. Eeeeeh, capisco.
Mancava solo la pacca sulla spalla.

Scattino.
Ho una buona notizia per te.
Mmmm, che? Calimero se ne va?
No, sta sera vieni con me a vedere Los miserables. Gratis. C'è lui, fa la maschera, ci fa entrare senza problemi.
Gioia incontenibile.

Dalla galleria studiamo i posti liberi giù in platea. Preferisci prima o seconda fila?
Euforia.
Quando già stanno annunciando l'inizio dello spettacolo, scendiamo le scale, e mentre iniziano ad affievolirsi le luci in sala ci sediamo in platea. Seconda fila, centrale.
Un musical stupendo, scenografie maestose. Il fumo di scena arriva in volute dense ad avvolgermi. L'orchestra suona dal vivo. Una storia drammatica si sviluppa potente attraverso melodie deliziose. Le lacrime si sprecano.
L'assenza del ballo e di canzoni travolgenti sono le uniche cose che impediscono a questo musical di scalzare dal primo posto Notre dame de Paris.
Il ruolo di Eponine il migliore.

Lydia Fairen interpreta Eponine

La scena della sua morte la più toccante. Es lluvia nada mas.

lunedì 21 novembre 2011

Paper Planes.

Aereoporto.
Aspetto cercando di trattenere la fastidiosa agitazione data dall'attesa. Ne approfitto per osservare, studiare la gente. Fortunatamente all'arrivo degli aereoporti la felicità della gente è contagiosa.
Gruppi di giovani stracarichi di energia pronti a distruggere la città con feste scatenate. Famiglie in attesa. Persone. 
Un uomo. Tiene in mano un mazzo immenso di rose rosse, avvolte in delicata carta velina verde. E' agitato, cambia continuamente il peso sui piedi. Destra, sinistra, destra, sinistra. Solleva il polso e controlla l'orario. Un gesto ripetuto come automatismo, sicuramente non si è nemmeno accorto realmente di che ora sia. Un semplice contatto con il tempo. Cambia posizione ancora. Destra, sinistra, destra, sinistra.
Finalmente lei arriva, con una bambina vestita come una minuscola donna di classe. Cappottino rosso. Un orsetto viene trascinato sul pavimento lucido dell'aereoporto per il braccio morbido e peloso.
Abbracci e baci.
Molto bene.

Il libro sta prendendo una piega inaspettata. Chissà che non abbia fatto bene a insistere..

Anche la Spagna come l'uomo delle rose rosse, come tutti, in attesa di un cambiamento cambia posizione. Destra, sinistra, destra, sinistra...
Che amarezza, anche qui dunque il senso della memoria è stato dimenticato.
E allora via libera alla privatizzazione di massa, via i diritti per gli omosessuali, via la legge sull'aborto.
Destra.

venerdì 18 novembre 2011

Amico fragile.

Una relazione fragile in una situazione complicata.
Sono assolutista, non riuscirò a gestirla con la dovuta calma e lucidità.
Io che cerco in ogni angolino qualche motivazione che mi spinga a mandare tutto all’aria. Ed è estremamente semplice. Troppo semplice.
Sono fatta così. Ogni punto scricchiolante è un buon pretesto per lasciar perdere.
Ho sempre analizzato tutto e tutti nel dettaglio, in un modo così spasmodico da sembrare malattia. Nessuno passa l’esame a ottimi voti, nemmeno io. Sempre ogni difetto è stato per me un buon motivo per giustificare la cancellazione assoluta (anche se spesso temporanea) di una persona.

Lei, che ormai mi conosce così tanto da riuscire a capire che sono triste prima che io stessa me ne renda conto, lei lo ha capito da tempo che sono fatta così e mi mette in guardia.
Non prendere ogni cosa che non funziona esattamente come vorresti per mettere in discussione tutto quel che c’è.
L’ho fatto con lei. Lo faccio sempre maledettamente con tutti. Solo una persona è rimasta finora indenne. E ancora non riesco a spiegarmi questo privilegio. Non se lo merita.

Una relazione fragile in una situazione complicata.
Non sono un’accesa sostenitrice delle storie per sempre. Per quanto vorrei crederci, davvero. Vedo sempre una possibile complicazione. Diventano noiose e abitudinarie. Spesso, spessissimo, il per sempre è tollerato quando il senso di solitudine diventa inaccettabile, il bisogno di un abbraccio imprescindibile, e parallelamente si fa più sopportabile l’idea di sacrificare un po’ di se stessi. Le ragioni possono essere le più disparate. Ma questo mi spaventa. Mi mette in guardia.
Sto accettando questo perché ho semplicemente voglia di un po’ più di calore?
Non può essere.

Mettere sempre in discussione tutto.
Anche me stessa.

E se questa cosa stesse tirando fuori la parte peggiore di me? Mi vedo cambiata. E temo non in meglio. Il fuoco dentro di me si è affievolito. Non sono spenta, ma hanno abbassato la temperatura. Rimango ferma in attesa di non so nemmeno cosa. Ho paura che un minimo mio movimento faccia cadere tutto.

Esci? Un peperino come te non sfigurerebbe sta sera con i miei amici. Vieni a ballare?
C’è una cena a casa mia, ti va di venire?
Usciamo a prendere qualcosa?
Vieni a prendere un caffè?
No, No, No, No, NO.
Sono terrorizzata da me stessa. Non combinare casini. Non sta volta.

Ma poi vedo arrivare da lontano il piattume. Le pantofole ai piedi. Il pigiama smesso, sempre addosso. L’assenza di iniziativa. I silenzi. La noia.
E questa volta è così facile che succeda. È quasi inevitabile.

E dire che è una relazione leggera, senza costrizioni, senza corde soffocanti. Ma è così leggera che arriva a essere effimera, troppo fragile. Confusa.
Non sono mai stata gelosa. Odio esserlo. È un sentimento inutile, una perdita di tempo. Ma qui si fa molto per farmi sentire inadeguata.

Ogni volta arrivo alla conclusione che devo farla finita prima che questa cosa faccia finita me. Prima che mi spenga.
Intanto sta sera esco. Nessun no.

giovedì 10 novembre 2011

Things.

Leggo.
Mi sconvolge per la sua banalità. Un bel mazzo di pensieri scontati, parole deludenti, sentimenti prevedibili. Sconvolgente banalità.
Ma proseguo imperterrita. Perché voglio sapere se prima o poi si riscatterà, sono l’avvocato delle infinite occasioni. Perché nonostante conosca e approvi i dieci diritti del lettore secondo Pennac, proprio non ce la faccio a lasciare lì un libro (a meno che non si tratti de Il partigiano Jonny, quello sì, si può abbandonare).

Per chi non li sapesse, i diritti irrinunciabili di ogni lettore:
1) il diritto di non leggere
2) il diritto di saltare le pagine
3) il diritto di non finire un libro
4) il diritto di rileggere
5) il diritto di leggere qualsiasi cosa
6) il diritto al bovarismo
7) il diritto di leggere ovunque
8) il diritto di spizzicare
9) il diritto di leggere a voce alta
10) il diritto di tacere

Ballo.
Danza. LindyHop. Lui, il moretto sulla sinistra è il mio prof. Non male. Affatto.
A lezione conosco un italiano e un francese. L’ambiente qui è molto più disteso e amichevole rispetto allo spocchioso mondo della salsa che ad ogni angolo olezza di vecchiume. L’italiano è la versione mora e gentile della fissazione della mia vita. Ci siamo presi in simpatia. Toscano con metà della vita passata a Bologna. "Uomo di cultura". Gli piacciono i miei orecchini a coccinella. E forse anche qualche cos’altro.

Viaggio.
Mater e Pater familiae in visita. Degno di nota il viaggio a Tarragona con Boby, la valigia ante-guerra, fabbricata prima che il Sig. Trolley inventasse, appunto, il Trolley. Boby, solo ruotina-munito, è come un cane al guinzaglio, tira dove vuole lui. Mater e Pater si sono portati al seguito un'amica. Amica completamente incompatibile con la sottoscritta. Amica che ha avuto una vita difficile, una vita tremenda, tristissima. Ma, sarò stronza, non riesco a giustificare il suo essere così congestionatamente nervosa, incapace di capire che forse quando uno sta parlando tu non devi parlare… E tante altre cose. Sarò stronza.

Tarragona - Anfiteatro romano - patrimonio UNESCO

Mi incazzo.
Il calimero messicano ha rischiato di morire. Preso dall’agitazione per avere il suo primo esperimento contaminato da un pregevolissimo ceppo batterico, non ha VISTO che stava versando la candeggina anche su una mia piastra. Ho dovuto far entrare nei polmoni tutta l’aria che c’era nel laboratorio per non vomitargli addosso il mio odio. Ricorrere alle lontanissime lezioni di yoga e a tutta la mia calma. Ha funzionato. Adesso almeno è sedato, e cerca di contenere il suo altrimenti incontenibile desiderio di mettersi in mostra, perchè è chiaro che verrà insignito presto da un Nobel.
Anche CiaoBella. Arrivo all’una al lavoro perché sono stata male tutta la mattina. Come fai a dirmi “sei sempre in formissima” quando ho la faccia color della cera economica delle candele delle chiese e sto su perché due Buscofen nelle vene mi fanno da ciappetto tenendomi attaccata al filo della lucidità?

Sogno. Amica è venuta a trovarmi. E con lei gli ultimi raggi di autunno. Farfalle e piedi scalzi.


Foto scattate da lei, Alicae

Assieme siamo andate in uno dei miei musei preferiti. Il quadro oggetto di miei numerosi pellegrinaggi era ancora là appeso.

Susana Rangel - La nuca

Lei è Susana Rangel. E tutti quelli che hanno visto “La nuca” mi hanno chiesto se fossi io di spalle. Non potevo trattenermi dal saccheggiare il museo di ogni gadget che riportasse questo quadro. Non potevo davvero.

Rifletto.
Ultimamente ogni persona che mi incontra nel corridoio e che sa che sono italiana mi ferma dicendo: “congratulaccioni”, “và a casa!”, “sei felicce?”, “finalmente eh?”. Io sorrido. Ma è un sorriso amaro. Perché per quanto mi sforzi non sono felice, non ci vedo molto di positivo nel nuovo panorama politico italiano. Non riesco a percepire un prossimo forte cambiamento. Un rospo se ne va dallo stagno, ma quello che rimane è pur sempre fanghiglia. E ci sono ancora tutti gli altri rospi.

Ascolto.

Everytime i look in your eyes
you move the
ground beneath me
and? i really don't know why
but i don't wanna end tonight



Stringi forte al petto quell'attimo che c'è
se ti porti dietro il mondo
porta dietro pure me...

giovedì 27 ottobre 2011

Bizzarrità.

Quindicenni apparenti si rincorrono salendo e scendendo le quattro rampe di scale dell’edificio in cui lavoro.

Fuori da una delle peggiori discoteche in un raro e piacevole momento di aria tra una doccia e l’altra di musica frastornante e strattoni, la versione spagnola di Ciaobella (nel caso specifico AdiosGuapa) mi saluta passando, poi si ferma, si volta verso di me, mi viene incontro e tira fuori dai pantaloni una rosa rossa gambo-munita con tanto di pacchetto di cellophane e me la porge sorridendo.

Temporale intelligente sceglie di arrivare alla periferia di Barcellona proprio quando è il momento della mia passeggiata quotidiana verso l’ospedale in cui irradio i miei esperimenti. Momento che non si può ovviamente posticipare. Saranno 900 metri. 1800 metri ida y vuelta. 3000 passi in totale. Più o meno. Considerata la mia falcata non proprio da amazzone. Normalmente è una pausa piacevole, 20 minuti che mi regalo all’aria aperta a metà giornata. Ma piove. E io l’ombrello non ce l’ho, “perchè vivo a Barcellona e non ne ho bisogno”. Brava. Il problema della copertura superiore viene comunque prontamente risolto. La parte più divertente arriva quando il sottopasso, unica via pedonabile che collega l’università con l’ospedale si trasforma in uno stagno. E senza nemmeno i giunchi, le ninfee e le paperelle. Quando riesco a ritornare in laboratorio sono più fradicia di un pesce nell’acquario. A ogni passo faccio ciaf ciaf. E anche oggi ho fatto la mia dose di piscina. 36 vasche da 50 metri. Oppure 72 da 25.

Il mio difficile rapporto con l'America latina, e nello specifico con il Messico, sta venendo messo a dura prova. Un nuovo dottorando messicano è arrivato. Damn! Partiamo dal presupposto che parlano uno spagnolo che sembra stato inventato apposta per le Winx o le Whoooo girl. Tutto al diminutivo. Parlano e non li capisci. Ci metti tutta la buona volontà del mondo. Ma non ce la fai.
E gli uomini. Gli uomini messicani, questa specie straordinaria. Piccoli, cicciottelli, scuri, molto scuri, rotondi, e con una voce fleeeeebile. Ma sii uomo! Tira fuori la voce da uomo! E invece no. E tu rimani lì a cercare di capire cosa dice la loro vocina da donnina gracilina. Ma è impossibile.
Contestualizzata la specia -maschio messicano- aggiungiamoci due cose.
Uno.
Il primo giorno già ci delizia con una perla non indifferente. Si, io mi occupavo di Alzheimer, però il cancro è sempre stato il mio hobby. Leggevo papers sul cancro nel tempo libero.
E penso, mentre non riesco a trattenere la faccia da balle di fieno che rotolano nel deserto: Uhm, di certo il tuo hobby non è fare sport.
Due.
Mi dice che ha letto un papers (ovvio no?) sull'emergente problema sociale di FB. Viene stimato che nel 2020, mi dice, la causa principale di depressione fra gli adolescenti sarà associata ai social network, e in particolare correlata all'assenza di likes e di commenti.
Poi continua: "io giornalmente ricevo una decina di likes e commenti, una mia amica è triste perchè ne riceve pochissimi in SETTIMANE. E io la prendo in giro, però poi le scrivo qualcosa sulla bacheca così è contenta.."
E penso che probabilmente, non c'è bisogno di arrivare fino al 2020.

lunedì 24 ottobre 2011

Sabbia e pece.

Da leggere ascoltando:

Sera. L'inverno si avvicinava a passi neanche troppo felpati alla città. Mi trovo in un teatro dal parquet di un legno caldo, le cortine pesanti, un occhio di bue blocca in gelatina un pianoforte. Terza fila.

Non è la prima volta che utilizzo quell'ascendente tipico delle donne sugli uomini per ottenere qualcosa. Lui è un ragazzo del Dipartimento, che mi saluta con quel sgradevole "ciao bella" ognisantogiorno. Lui è un post-doc e gli piace vantarsi della sua carriera professionale. Credo non sospetti nemmeno lontanamente che è una delle cose che detesto di più. Calcio, soldi, macchine e quanto sei figo professionalmente parlando. Argomenti che mi azzerano totalmente ogni tipo di reazione chimica neuronale. Più del sonno.
Però lui aveva dei biglietti per il concerto di Allevi.

Allevi non lo avevo mai ascoltato. Forse per curiosità su YT. Un paio di volte. Ma non mi aveva colpito.

Adoro Einaudi. Questo sì. E uno dei miei ricordi più belli parla di un'alba a Rimini alla conclusione della notte rosa. Amici. Sono sdraiata sulla sabbia, la schiena contro il mio ragazzo di allora, a guardare il sole che progressivamente smetteva di tingere il mare e abbandonava i colori magici del rosso per diventare un classico sole di inizio luglio. Ad accompagnare questo momento già di per sè magico, Einaudi suonava il piano, in riva al mare. E' stato un momento di un'intensità così bella e preziosa che ancora oggi, a diversi anni di distanza, chiudendo gli occhi, sento il rumore delle onde del mare in bonaccia, e quelle note stupende, la salsedine, il calore del sole e la mia spina dorsale si ammorbidisce.

Sono molto curiosa di vedere se Allevi saprà equivalere questo ricordo.
La melodia sà toccare le corde giuste. Ma quello che mi emoziona di più sono le sue mani, quelle stesse che si muovono sicure e veloci sui tasti, al termine di ogni canzone, si alzano tremanti. Un fremito incontrollabile che lui non riesce a dissimulare.E si tocca il petto. E cerca di respirare. A volte appoggia le dita alle sue labbra e le riappoggia sui tasti, come se lui stesso rimanesse incredulo davanti alla magia di quelle note. E si alza, presentando la canzone successiva, come sempre. Si appoggia ripetutamente con una mano allo strumento, una presenza che rassicura, forse.

Mentre lui suona, nella mia immaginazione si alza una ballerina che comincia a danzare. E sento il rumore ritmato e sordo delle scarpe da punta sul parquet, l'odore della pece, il calore asfissiante dei fari e il dolore ai piedi.
Sono contenta di aver ripreso a danzare.
La mancanza della ballo era diventato così viscerale da essere per me insopportabile.

domenica 16 ottobre 2011

Mattatoio n.5

"Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare a un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra i nemici non devono riempirli di soddisfazione o di gioia.
Ho anche detto loro di non lavorare per società che fabbricano congegni in grado di provocare massacri, e di esprimere il loro disprezzo per chi pensa che congegni del genere siano necessari."
Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5


In questi giorni ho finito di leggere “Lettere contro la guerra” di Terzani. Dovrebbe essere letto e studiato a scuola al pari della Divina Commedia e I promessi sposi. Bisognerebbe leggerlo almeno un paio di volte all’anno. È così sostanzioso e fondamentale che vorrei poterlo imparare a memoria. Non dimenticare mai.
Ricopiare alcune parti dell’ultimo capitolo è per me un buon modo per fare il punto, brevemente, su quello che sta succedendo ora, ovunque.

La semplicità è un enorme aiuto nel fare ordine. A volte mi chiedo se il senso di frustrazione, d’impotenza che molti, specie fra i giovani, hanno dinanzi al mondo moderno è dovuto al fatto che esso appare loro così complicato, così difficile da capire che la sola reazione possibile è crederlo il mondo di qualcun altro: un mondo in cui non si può mettere le mani, un mondo che non si può cambiare. Ma non è così: il mondo è di tutti.
[…] l’individuo è sempre più disorientato, si sente perso, e finisce così per fare semplicemente il suo piccolo dovere nel lavoro, nel compito che ha dinanzi, disinteressandosi del resto e aumentando così il suo senso di isolamento, il suo senso di inutilità.

Guardiamo all’oggi dal punto di vista del domani per non doverci rammaricare poi d’aver perso una buona occasione. L’occasione di capire che il mondo è uno, che ogni parte ha il suo senso, che è possibile rimpiazzare la logica della competitività con l’etica della coesistenza, che nessuno ha il monopolio di nulla, che l’idea di una civiltà superiore all’altra è solo frutto di ignoranza, che l’armonia, come la bellezza, sta nell’equilibrio degli opposti e che l’idea di eliminare uno dei due è semplicemente sacrilega.
Questa mania di voler ridurre tutto ad una uniformità è molto occidentale. << Non pensa che il mondo sarebbe molto più bello se ci fosse una sola religione per tutti gli uomini?>> [domanda rivolta al mistico indiano Vivekanada alla fine dell’Ottocento alla fine di una sua conferenza] <<No>> rispose <<Forse sarebbe ancora più bello se ci fossero tante religioni quanti sono gli uomini.>>

Quella mente, finora impegnata prevalentemente a conoscere e ad impossessarsi del mondo esterno, come se quello fosse la sola fonte della nostra sfuggente felicità, dovrebbe rivolgersi anche all’esplorazione del mondo interno, alla conoscenza di sé.

E concludo con una persona e due parole: Badshan Khan e “Hei Ram”.


Badshan Khan, il “Gandhi della frontiera”, il “Musulmano soldato di pace”, un afghano della regione di Peshawar che si unì giovanissimo al movimento di Gandhi e che dedicò tutta la sua vita a convincere la sua gente, i pashtun, una delle etnie più bellicose della terra, a rinunciare alla violenza e al loro antico codice d’onore che impone ad ognuno il badal, l’obbligo di vendicare col sangue ogni atto di sangue o anche un semplice insulto subìto dall’etnia, dal clan, dalla famiglia: un codice di vendetta, questo, che ha macchiato da secoli la storia afghana. […] Il suo ultimo messaggio fu una semplice domanda. << Perché si producono ancora delle armi di distruzione di massa? >>

In un recinto di pietra rosa c’è un grande prato verde al centro del quale, nel posto dove il corpo del Mahatma venne cremato, brucia ora una fiamma costante. Tutto è trascurato e sporco. Non ci sono fiori nelle aiuole, né acqua nelle vasche piastrellate lungo il percorso. Non c’è neppure Gandhi, né il suo spirito. Nonostante ci vadano i turisti e i dignitari stranieri in visita in India, è come se quel posto, con quel che rappresenta, non fosse più di moda.
Sulla semplicissima, disadorna piattaforma di marmo nero sulla quale qualcuno ha gettato una manciata di fiori, spiccano due sillabe in Hindi: Hei Ram, << Oh, dio >>, che Gandhi pronunciò quando venne raggiunto dalle pallottole del suo assassino. È come se Bapu, il padre, le ripetesse oggi che l’India, dimenticando il suo esempio, lo ha ucciso una seconda volta. Hei Ram.

venerdì 14 ottobre 2011

Midnight in Paris.

Museo Picasso. Ancora. Divorare Parigi. Già il titolo dell’esposizione temporanea mi incuriosisce. Per la prima volta vedo delle opere di Van Gogh. Delle braccia gialle screziate di ceruleo escono dal quadro e ti trascinano dentro. Nessuna sorpresa. È amore a prima vista.
Ma quello che colpisce di più è un quadro piccolo di un artista che principalmente faceva litografie. Litografie ora molto conosciute.  


Théophile-Alexandre Steinlen
The Embrace

Take me now baby here as I am
pull me close, try and understand
desire is hunger is the fire I breathe
love is a banquet on which we feed

Esco soddisfatta e contenta da questa atmosfera da Midnight in Paris. Mi siedo a un tavolo a sfogliare il libro della mostra. Finisco prima dei miei amici. L’arte è una questione personale. Ognuno procede a suo ritmo. C’è chi si ossessiona leggendo ogni piccola didascalia. JJ commentava anche le prese della corrente. Tutto questo non faceva altro che facilitare la mia impressione di essere in Midnight in paris. Lei era il mio personale professore saccente.

Mi si siede di fianco. Mano sulla schiena.
“Ti è piaciuto?” si sforza di parlare italiano.
“mh mh, mucho, me ha gustado mucho”.
I suoi occhi azzurri mi scrutano.
Gli dico che non avevo mai visto nulla di Van Gogh.
Poi mi sorprende. Iniziando a parlare del Louvre, dei suoi quadri che ha visto…
E pensare credevo fosse un pischello.
Continua a fissarmi.
E a me lo stomaco inizia a formicolare.

lunedì 10 ottobre 2011

Barcellona sessualmente confusa.

Giá l’anno scorso gli approcci gai si sono affacciati.
E ben gestiti furono.

La cosa che ancora non mi era capitata è che amico gaio (e figo come quasi la totalità dei personaggi appartenenti al mondo gaio) di amica ti trascini in pista, balli con te come fa un uomo che gaio non è con una donna, e che dopo avermi lungamente assaporato il collo mi baci.
Ecco questo ancora non mi era capitato.

Poi si sdrammatizza. "Eh, lo so.. Di tette così in vita tua non ne hai mai viste.. "
Poi c’era anche il suo moroso gaio lasciato a poltrire nella sua noiosa poltritudine.. mica va a ballare lui..
 
Poi c’è amico di frenchcoinquy che fino ad ora stava a Madrid. Amico con morosa. Morosa che porta tante di quelle corna che nemmeno un appendichiavi tirolese molto pieno di ganci. Amico che sta con il suddetto appendichiavi, io suppongo, solo perchè ha scoperto quale profondo piacere ci sia nel sottomettere fisicamente una donna che sostanzialmente si crede JJ (Jesus Jr.), e parla con una frequenza superiore al battito cardiaco di un colibrì. Spesso quando la sua presenza diventa insostenibile, mi immagino la scena, e un po’ di piacere lo provo anche io.
Amico che voleva aggiungere un gancio all’appendichiavi con me. Ma a me ste cose non piacciono. Nonostante JJ, come si è capito, non è esattamente la mia best friend.

martedì 4 ottobre 2011

Good Feeling.

Ibiza.
Italiani, droga, feste incredibili e incredibilmente costose, e mare stupendo.
Mare favoloso.


Le mie compagne di viaggio mi hanno stupito. Prima di partire mi stavo maledicendo. Al lavoro è faticoso stare con loro. Ma siamo tutte donne. Caratteri diversi. Vedersi tutti i giorni. Lavorare assieme tutti i giorni. Probabilmente odierei anche la mia ombra se ci dovessi avere così tanto a che fare.

C’è ScattinoComplessato. Lei è bellissima. Tanto bella quanto insicura. Come sempre. Lei è stata la prima a farmi capire che in Spagna e paesi ispanico-parlanti, la tristezza si cura sistematicamente con antidepressivi. Qui tutte, tutte le ragazze sono in cura. Ancora non riesco a capire se le loro tristezze sono davvero così profonde, o semplicemente non sono in grado di vedere tutti quei dettagli che ti fanno andare a letto comunque soddisfatta. Lei, ad ogni modo è una grande amica. E sa consolare quando ce n’è veramente bisogno. E sa divertirsi. Ed è perennemente nello stato di scattino quando prende il caffè. Nei dieci minuti che mi aspettava sotto casa qualche mese fa, ha deciso di mettersi a pulire la macchina e il baule. E l’ha fatto.

Poi c’è FigliaDeiFiori. Lei è capace di dimenticarsi ogni cosa fuori posto, di trattare con un farmaco un controllo, di iniziare un esperimento senza aver la minima idea di quello che sta facendo. Tratta ogni lato della sua vita lavorativa con lo stesso stato di ebrezza effimera del venerdì sera. È sempre, perennemente, in un campo di fiori pieno di farfalle. E non sai se quando le stai parlando e lei posa i suoi occhioni di miele su di te, ti sta realmente guardando, o in realtà sta contando le farfalle tra i fili d’erba.

Ma nonostante tutto questo, Ibiza è stata favolosa. Loro le compagne ideali. Una vacanza compressa indimenticabile. Si parla già di replicare a Menorca o Berlino. So benissimo che l’eccitazione pianificatrice del momento sarà dimenticata presto. Ma anche solo pensarlo mi fa piacere.

Tornando a casa dal lavoro, sciami di nani invadevano i parchetti tra la fermata della metro e casa mia. E mentre chiudevo la porta del condominio è comparsa una bambina sul marciapiede. Mi fissa e inizia a cantare.
Faccio rapidamente mente locale sul giorno, e una volta appurato che non è Halloween, le chiedo se vuole entrare. Lei mi sorride, fa cenno di no con la testa, e voltandosi, con i ricci, il vestitino bianco con i fiori rossi, le scarpine, e il suo sorriso se ne va. Continuando a cantare.
Qualche secondo per accorgermi quanto mi manca lavorare con i bambini.

La nonna di Daisy è stata qui nel weekend. Mi ha lasciato sul letto un paio di espardenyes blu. Ha cucito l’orlo della tenda in sala che ora cade dritta e sicura in direzione del pavimento, e non è più costretta in un improbabile nodo.
Poche cose che scaldano il cuore e ti fanno sentire a casa anche qui.

domenica 25 settembre 2011

Stream of consciousness.

Riposo che non è riposo. Week end a schegge che si conficcano lentamente. Piano, piano, sempre più in fondo. La routine appiccicaticcia continua senza apparenti deviazioni. Ma vai in laboratorio anche quando potresti stare a casa. Anche quando nessuno va in laboratorio perché è sabato o domenca. Ad esempio. Giochetti squallidi si insinuano sotto pelle. Riassunto perfetto nella canzone degli Afterhours, e nelle immagini di highfivecollective. E ti chiedi quando riuscirai a fermarti. Se è veramente questo quello che desideri per te. Male di miele. Ma il problema è sempre quello alla fine. Penso troppo. E poi è domenica sera anche per me.



venerdì 23 settembre 2011

Dispensa..

Se fossi un topino di Boscodirovo cercherei i raggi di sole più caldi, la sensazione della sabbia sulla mia pelle e quella delle onde contro i miei fianchi, le infinite ore di luce, l’odore della mia pelle dopo una giornata di sole. La leggerezza di un vestito finalmente corto. I piedi nudi sull’erba. Le passeggiate di sera ancora senza giacca. Li cercherei, li imbarattolerei e li ficcherei nella dispensa. Perchè fino ad ora ce n’è a sufficienza. Ma fra qualche mese potrei sentirne la mancanza. E non basterà il natale, il mio compleanno e il ritorno a casa per farmi sentire bene come in estate.




Non ci hanno rinnovato il FIS. Non so che dire. Non so che pensare. La cosa che mi viene meglio è fare finta di niente. Non ne parlo. Così il problema non mi sembra ancora del tutto reale.

lunedì 19 settembre 2011

Stagni.

Consideriamo che vado in piscina. Consideriamo anche che le mie corsie preferite vengono indicate generalmente con il disegnino della tartaruga o di Nemo. Proprio quella corsia che ti porta a vivere nel terrore di vedere il tuo braccio sinistro sfracellarsi durante il dorso contro il morbido muro piastrellato. Proprio quelle braccia la cui potenza annessa è stata definita negli anni nei modi più diversi, ma che il più divertente è “braccia di cacca”.

Considerato tutto questo, và da sé che i miei compagni di corsia appartengano alle specie ittiche più variegate.
Una volta superati i sette-dieci minuti di acclimatamento graduale alle temperature artiche dell’acqua, attività che mi azzera qualsiasi facoltà mentale, inizio a riprendere contatto con il mondo. E allora, tra una vasca e l’altra inizio a notare i miei compagni di acquario.

Ci sono i pesci pulitori. Essi rimangono attaccati al muretto, con la bocca al pelo dell’acqua. La durata è variabile, probabilmente correlata al livello igenico dell’acquitrino. Il più operoso è arrivato alla mezz’oretta.

Ci sono i siluri. Essi non hanno sesso. Vanno tanto veloci che non riesco a identificarli. E normalmente non sono nella mia stessa barriera corallina.

Poi vengono i sommergibili. Loro ti stanno osservando. Sempre. Con la testa sopra o sotto il pelo dell’acqua. Sai che ti stanno osservando. Lo percepisci. E sanno del magnifying power dell’acqua. E lo usano a loro favore.

Ci sono i bambini Idra. Nella versione ridimensionata. Hanno due teste. Un galleggiante oviforme sapientemente collocato a livello del torace permette loro di dare questa illusione. Che siano in posizione retta o paralleli al pelo dell’acqua hanno comunque una testa che spunta.

Poi vengono i tamarri. Normalmente arrivano a sciami. E i tamarrissimi. Questi si possono riconoscere per la tipica forma a croissant. Definizione adorabile made in Pepe, moroso di Daisy, l’altra mia coinquy. Questi personaggi sai che se per errore dovessero stendere le loro braccia, si provocherebbero una qualche frattura all’articolazione del gomito.

Ci sono anche i pesci sorpresa. Questi normalmente ti precedono. E quando tu decidi di fare dorso. Loro a sorpresa si fermano a metà corsia. Terrorizzati. E se per qualche motivo tu te ne accorgi, e cerchi di superarli, loro ti soprendono nuovamente. Perché ligi al ferreo codice della strada, per tornare indietro decidono di avvicinarsi all’altro bordo. E quindi, comunque, li tamponi.

Poi ci sono alcuni pesci che meritano una menzione d’onore.
C’è il pesce BraccioSinistroOndaAnomala. Incapace di fare delle rotazioni normali con il braccio sinistro. È in grado di generare un’onda d’urto che ti sposta al bordo esterno della corsia.
C’è il pesce FacciamoAGaraAChiSpruzzaPiùLontano. A volte l’ho vista superare le due corsie. È una vera potenza.
E poi, raramente, c’è il bronzo di riace. Che se anche non ne hai bisogno, la testa fuori dall’acqua la devi tirare fuori. E rimani in adorazione.

Altro tempo andrebbe dedicato a descrivere la fauna delle doccie. Quella fauna che vorresti essere un uomo per avere la possibilità di non vederla.
Ma questa volta mi trattengo.

domenica 18 settembre 2011

Swing!

Ieri festival di danza in un quartiere vicino a dove abito. La voglia di tornare a ballare è esplosa.

Spettacolo completamente gratuito, livello professionale. Quindicenni con un'energia contagiosa. Motivati, sostenuti.

C'era questa scuola incredibile. Le coreografie di Sarah Coral sono quelle che quest'anno mi hanno colpito maggiormente. Il mio adorato reggaeton.

E poi c'era lo Swing. E me ne sono innamorata.





Il video è stato fatto da una delle scuole che partecipava al festival. Credo che mi iscriverò. :)

giovedì 15 settembre 2011

Català-Roca

Domenica di passione per me. Una mostra fotografica mi ha mostrato gratuitamente il fianco e io ho affondato le zanne (Web Site).


Lui era di Valls. Valls è questo paesino a sud di BCN che ha partorito due delle principali tradizioni catalane: i Calçot e i Castellers.
Lui è un fotografo.

La fotografia ha per me tre difetti, se proprio vogliamo trovarli. Non c’è musica. Non c’è profumo. E quasi sempre non c’è movimento.

Qui era diverso.
Guardando le sue fotografie venivo risucchiata da questo bianco-nero espressivissimo. Mi trovavo vestita con i calzetti bianchi alla caviglia infilati nelle scarpine lucide e nere, la gonna a vita alta lunga cinque centimetri sotto le ginocchia, una camicetta bianca e i capelli bigodinati. E potevo immaginarmi esattamente il prima e il dopo. Molte delle foto sono in posa. Ma erano così intense che sembrava semplicemente di aver messo per errore in pausa un film. Sai cosa accadeva esattamente pochi minuti prima. E ti puoi immaginare anche gli attimi successivi.

Nelle sue foto c’è Dalì, c’è Hemingway. Nelle sue foto ci sono Barcellona e Madrid 60 anni fa’.  Tra le foto c’è questa, che mi ha colpito incredibilmente.


È una zingara. I suoi piedini nudi poggiano su Montjuïc. Alle sue spalle Barcellona.

Ho scoperto che è un suo scatto a fare da copertina a uno dei miei libri preferiti.

Ho scoperto che nel parco del Retiro a Madrid ha scattato una foto che assomiglia molto a una delle mie. E mi sono sentita orgogliosa.



Qui si possono vedere altre delle sue foto.