giovedì 27 ottobre 2011

Bizzarrità.

Quindicenni apparenti si rincorrono salendo e scendendo le quattro rampe di scale dell’edificio in cui lavoro.

Fuori da una delle peggiori discoteche in un raro e piacevole momento di aria tra una doccia e l’altra di musica frastornante e strattoni, la versione spagnola di Ciaobella (nel caso specifico AdiosGuapa) mi saluta passando, poi si ferma, si volta verso di me, mi viene incontro e tira fuori dai pantaloni una rosa rossa gambo-munita con tanto di pacchetto di cellophane e me la porge sorridendo.

Temporale intelligente sceglie di arrivare alla periferia di Barcellona proprio quando è il momento della mia passeggiata quotidiana verso l’ospedale in cui irradio i miei esperimenti. Momento che non si può ovviamente posticipare. Saranno 900 metri. 1800 metri ida y vuelta. 3000 passi in totale. Più o meno. Considerata la mia falcata non proprio da amazzone. Normalmente è una pausa piacevole, 20 minuti che mi regalo all’aria aperta a metà giornata. Ma piove. E io l’ombrello non ce l’ho, “perchè vivo a Barcellona e non ne ho bisogno”. Brava. Il problema della copertura superiore viene comunque prontamente risolto. La parte più divertente arriva quando il sottopasso, unica via pedonabile che collega l’università con l’ospedale si trasforma in uno stagno. E senza nemmeno i giunchi, le ninfee e le paperelle. Quando riesco a ritornare in laboratorio sono più fradicia di un pesce nell’acquario. A ogni passo faccio ciaf ciaf. E anche oggi ho fatto la mia dose di piscina. 36 vasche da 50 metri. Oppure 72 da 25.

Il mio difficile rapporto con l'America latina, e nello specifico con il Messico, sta venendo messo a dura prova. Un nuovo dottorando messicano è arrivato. Damn! Partiamo dal presupposto che parlano uno spagnolo che sembra stato inventato apposta per le Winx o le Whoooo girl. Tutto al diminutivo. Parlano e non li capisci. Ci metti tutta la buona volontà del mondo. Ma non ce la fai.
E gli uomini. Gli uomini messicani, questa specie straordinaria. Piccoli, cicciottelli, scuri, molto scuri, rotondi, e con una voce fleeeeebile. Ma sii uomo! Tira fuori la voce da uomo! E invece no. E tu rimani lì a cercare di capire cosa dice la loro vocina da donnina gracilina. Ma è impossibile.
Contestualizzata la specia -maschio messicano- aggiungiamoci due cose.
Uno.
Il primo giorno già ci delizia con una perla non indifferente. Si, io mi occupavo di Alzheimer, però il cancro è sempre stato il mio hobby. Leggevo papers sul cancro nel tempo libero.
E penso, mentre non riesco a trattenere la faccia da balle di fieno che rotolano nel deserto: Uhm, di certo il tuo hobby non è fare sport.
Due.
Mi dice che ha letto un papers (ovvio no?) sull'emergente problema sociale di FB. Viene stimato che nel 2020, mi dice, la causa principale di depressione fra gli adolescenti sarà associata ai social network, e in particolare correlata all'assenza di likes e di commenti.
Poi continua: "io giornalmente ricevo una decina di likes e commenti, una mia amica è triste perchè ne riceve pochissimi in SETTIMANE. E io la prendo in giro, però poi le scrivo qualcosa sulla bacheca così è contenta.."
E penso che probabilmente, non c'è bisogno di arrivare fino al 2020.

lunedì 24 ottobre 2011

Sabbia e pece.

Da leggere ascoltando:

Sera. L'inverno si avvicinava a passi neanche troppo felpati alla città. Mi trovo in un teatro dal parquet di un legno caldo, le cortine pesanti, un occhio di bue blocca in gelatina un pianoforte. Terza fila.

Non è la prima volta che utilizzo quell'ascendente tipico delle donne sugli uomini per ottenere qualcosa. Lui è un ragazzo del Dipartimento, che mi saluta con quel sgradevole "ciao bella" ognisantogiorno. Lui è un post-doc e gli piace vantarsi della sua carriera professionale. Credo non sospetti nemmeno lontanamente che è una delle cose che detesto di più. Calcio, soldi, macchine e quanto sei figo professionalmente parlando. Argomenti che mi azzerano totalmente ogni tipo di reazione chimica neuronale. Più del sonno.
Però lui aveva dei biglietti per il concerto di Allevi.

Allevi non lo avevo mai ascoltato. Forse per curiosità su YT. Un paio di volte. Ma non mi aveva colpito.

Adoro Einaudi. Questo sì. E uno dei miei ricordi più belli parla di un'alba a Rimini alla conclusione della notte rosa. Amici. Sono sdraiata sulla sabbia, la schiena contro il mio ragazzo di allora, a guardare il sole che progressivamente smetteva di tingere il mare e abbandonava i colori magici del rosso per diventare un classico sole di inizio luglio. Ad accompagnare questo momento già di per sè magico, Einaudi suonava il piano, in riva al mare. E' stato un momento di un'intensità così bella e preziosa che ancora oggi, a diversi anni di distanza, chiudendo gli occhi, sento il rumore delle onde del mare in bonaccia, e quelle note stupende, la salsedine, il calore del sole e la mia spina dorsale si ammorbidisce.

Sono molto curiosa di vedere se Allevi saprà equivalere questo ricordo.
La melodia sà toccare le corde giuste. Ma quello che mi emoziona di più sono le sue mani, quelle stesse che si muovono sicure e veloci sui tasti, al termine di ogni canzone, si alzano tremanti. Un fremito incontrollabile che lui non riesce a dissimulare.E si tocca il petto. E cerca di respirare. A volte appoggia le dita alle sue labbra e le riappoggia sui tasti, come se lui stesso rimanesse incredulo davanti alla magia di quelle note. E si alza, presentando la canzone successiva, come sempre. Si appoggia ripetutamente con una mano allo strumento, una presenza che rassicura, forse.

Mentre lui suona, nella mia immaginazione si alza una ballerina che comincia a danzare. E sento il rumore ritmato e sordo delle scarpe da punta sul parquet, l'odore della pece, il calore asfissiante dei fari e il dolore ai piedi.
Sono contenta di aver ripreso a danzare.
La mancanza della ballo era diventato così viscerale da essere per me insopportabile.

domenica 16 ottobre 2011

Mattatoio n.5

"Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare a un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra i nemici non devono riempirli di soddisfazione o di gioia.
Ho anche detto loro di non lavorare per società che fabbricano congegni in grado di provocare massacri, e di esprimere il loro disprezzo per chi pensa che congegni del genere siano necessari."
Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5


In questi giorni ho finito di leggere “Lettere contro la guerra” di Terzani. Dovrebbe essere letto e studiato a scuola al pari della Divina Commedia e I promessi sposi. Bisognerebbe leggerlo almeno un paio di volte all’anno. È così sostanzioso e fondamentale che vorrei poterlo imparare a memoria. Non dimenticare mai.
Ricopiare alcune parti dell’ultimo capitolo è per me un buon modo per fare il punto, brevemente, su quello che sta succedendo ora, ovunque.

La semplicità è un enorme aiuto nel fare ordine. A volte mi chiedo se il senso di frustrazione, d’impotenza che molti, specie fra i giovani, hanno dinanzi al mondo moderno è dovuto al fatto che esso appare loro così complicato, così difficile da capire che la sola reazione possibile è crederlo il mondo di qualcun altro: un mondo in cui non si può mettere le mani, un mondo che non si può cambiare. Ma non è così: il mondo è di tutti.
[…] l’individuo è sempre più disorientato, si sente perso, e finisce così per fare semplicemente il suo piccolo dovere nel lavoro, nel compito che ha dinanzi, disinteressandosi del resto e aumentando così il suo senso di isolamento, il suo senso di inutilità.

Guardiamo all’oggi dal punto di vista del domani per non doverci rammaricare poi d’aver perso una buona occasione. L’occasione di capire che il mondo è uno, che ogni parte ha il suo senso, che è possibile rimpiazzare la logica della competitività con l’etica della coesistenza, che nessuno ha il monopolio di nulla, che l’idea di una civiltà superiore all’altra è solo frutto di ignoranza, che l’armonia, come la bellezza, sta nell’equilibrio degli opposti e che l’idea di eliminare uno dei due è semplicemente sacrilega.
Questa mania di voler ridurre tutto ad una uniformità è molto occidentale. << Non pensa che il mondo sarebbe molto più bello se ci fosse una sola religione per tutti gli uomini?>> [domanda rivolta al mistico indiano Vivekanada alla fine dell’Ottocento alla fine di una sua conferenza] <<No>> rispose <<Forse sarebbe ancora più bello se ci fossero tante religioni quanti sono gli uomini.>>

Quella mente, finora impegnata prevalentemente a conoscere e ad impossessarsi del mondo esterno, come se quello fosse la sola fonte della nostra sfuggente felicità, dovrebbe rivolgersi anche all’esplorazione del mondo interno, alla conoscenza di sé.

E concludo con una persona e due parole: Badshan Khan e “Hei Ram”.


Badshan Khan, il “Gandhi della frontiera”, il “Musulmano soldato di pace”, un afghano della regione di Peshawar che si unì giovanissimo al movimento di Gandhi e che dedicò tutta la sua vita a convincere la sua gente, i pashtun, una delle etnie più bellicose della terra, a rinunciare alla violenza e al loro antico codice d’onore che impone ad ognuno il badal, l’obbligo di vendicare col sangue ogni atto di sangue o anche un semplice insulto subìto dall’etnia, dal clan, dalla famiglia: un codice di vendetta, questo, che ha macchiato da secoli la storia afghana. […] Il suo ultimo messaggio fu una semplice domanda. << Perché si producono ancora delle armi di distruzione di massa? >>

In un recinto di pietra rosa c’è un grande prato verde al centro del quale, nel posto dove il corpo del Mahatma venne cremato, brucia ora una fiamma costante. Tutto è trascurato e sporco. Non ci sono fiori nelle aiuole, né acqua nelle vasche piastrellate lungo il percorso. Non c’è neppure Gandhi, né il suo spirito. Nonostante ci vadano i turisti e i dignitari stranieri in visita in India, è come se quel posto, con quel che rappresenta, non fosse più di moda.
Sulla semplicissima, disadorna piattaforma di marmo nero sulla quale qualcuno ha gettato una manciata di fiori, spiccano due sillabe in Hindi: Hei Ram, << Oh, dio >>, che Gandhi pronunciò quando venne raggiunto dalle pallottole del suo assassino. È come se Bapu, il padre, le ripetesse oggi che l’India, dimenticando il suo esempio, lo ha ucciso una seconda volta. Hei Ram.

venerdì 14 ottobre 2011

Midnight in Paris.

Museo Picasso. Ancora. Divorare Parigi. Già il titolo dell’esposizione temporanea mi incuriosisce. Per la prima volta vedo delle opere di Van Gogh. Delle braccia gialle screziate di ceruleo escono dal quadro e ti trascinano dentro. Nessuna sorpresa. È amore a prima vista.
Ma quello che colpisce di più è un quadro piccolo di un artista che principalmente faceva litografie. Litografie ora molto conosciute.  


Théophile-Alexandre Steinlen
The Embrace

Take me now baby here as I am
pull me close, try and understand
desire is hunger is the fire I breathe
love is a banquet on which we feed

Esco soddisfatta e contenta da questa atmosfera da Midnight in Paris. Mi siedo a un tavolo a sfogliare il libro della mostra. Finisco prima dei miei amici. L’arte è una questione personale. Ognuno procede a suo ritmo. C’è chi si ossessiona leggendo ogni piccola didascalia. JJ commentava anche le prese della corrente. Tutto questo non faceva altro che facilitare la mia impressione di essere in Midnight in paris. Lei era il mio personale professore saccente.

Mi si siede di fianco. Mano sulla schiena.
“Ti è piaciuto?” si sforza di parlare italiano.
“mh mh, mucho, me ha gustado mucho”.
I suoi occhi azzurri mi scrutano.
Gli dico che non avevo mai visto nulla di Van Gogh.
Poi mi sorprende. Iniziando a parlare del Louvre, dei suoi quadri che ha visto…
E pensare credevo fosse un pischello.
Continua a fissarmi.
E a me lo stomaco inizia a formicolare.

lunedì 10 ottobre 2011

Barcellona sessualmente confusa.

Giá l’anno scorso gli approcci gai si sono affacciati.
E ben gestiti furono.

La cosa che ancora non mi era capitata è che amico gaio (e figo come quasi la totalità dei personaggi appartenenti al mondo gaio) di amica ti trascini in pista, balli con te come fa un uomo che gaio non è con una donna, e che dopo avermi lungamente assaporato il collo mi baci.
Ecco questo ancora non mi era capitato.

Poi si sdrammatizza. "Eh, lo so.. Di tette così in vita tua non ne hai mai viste.. "
Poi c’era anche il suo moroso gaio lasciato a poltrire nella sua noiosa poltritudine.. mica va a ballare lui..
 
Poi c’è amico di frenchcoinquy che fino ad ora stava a Madrid. Amico con morosa. Morosa che porta tante di quelle corna che nemmeno un appendichiavi tirolese molto pieno di ganci. Amico che sta con il suddetto appendichiavi, io suppongo, solo perchè ha scoperto quale profondo piacere ci sia nel sottomettere fisicamente una donna che sostanzialmente si crede JJ (Jesus Jr.), e parla con una frequenza superiore al battito cardiaco di un colibrì. Spesso quando la sua presenza diventa insostenibile, mi immagino la scena, e un po’ di piacere lo provo anche io.
Amico che voleva aggiungere un gancio all’appendichiavi con me. Ma a me ste cose non piacciono. Nonostante JJ, come si è capito, non è esattamente la mia best friend.

martedì 4 ottobre 2011

Good Feeling.

Ibiza.
Italiani, droga, feste incredibili e incredibilmente costose, e mare stupendo.
Mare favoloso.


Le mie compagne di viaggio mi hanno stupito. Prima di partire mi stavo maledicendo. Al lavoro è faticoso stare con loro. Ma siamo tutte donne. Caratteri diversi. Vedersi tutti i giorni. Lavorare assieme tutti i giorni. Probabilmente odierei anche la mia ombra se ci dovessi avere così tanto a che fare.

C’è ScattinoComplessato. Lei è bellissima. Tanto bella quanto insicura. Come sempre. Lei è stata la prima a farmi capire che in Spagna e paesi ispanico-parlanti, la tristezza si cura sistematicamente con antidepressivi. Qui tutte, tutte le ragazze sono in cura. Ancora non riesco a capire se le loro tristezze sono davvero così profonde, o semplicemente non sono in grado di vedere tutti quei dettagli che ti fanno andare a letto comunque soddisfatta. Lei, ad ogni modo è una grande amica. E sa consolare quando ce n’è veramente bisogno. E sa divertirsi. Ed è perennemente nello stato di scattino quando prende il caffè. Nei dieci minuti che mi aspettava sotto casa qualche mese fa, ha deciso di mettersi a pulire la macchina e il baule. E l’ha fatto.

Poi c’è FigliaDeiFiori. Lei è capace di dimenticarsi ogni cosa fuori posto, di trattare con un farmaco un controllo, di iniziare un esperimento senza aver la minima idea di quello che sta facendo. Tratta ogni lato della sua vita lavorativa con lo stesso stato di ebrezza effimera del venerdì sera. È sempre, perennemente, in un campo di fiori pieno di farfalle. E non sai se quando le stai parlando e lei posa i suoi occhioni di miele su di te, ti sta realmente guardando, o in realtà sta contando le farfalle tra i fili d’erba.

Ma nonostante tutto questo, Ibiza è stata favolosa. Loro le compagne ideali. Una vacanza compressa indimenticabile. Si parla già di replicare a Menorca o Berlino. So benissimo che l’eccitazione pianificatrice del momento sarà dimenticata presto. Ma anche solo pensarlo mi fa piacere.

Tornando a casa dal lavoro, sciami di nani invadevano i parchetti tra la fermata della metro e casa mia. E mentre chiudevo la porta del condominio è comparsa una bambina sul marciapiede. Mi fissa e inizia a cantare.
Faccio rapidamente mente locale sul giorno, e una volta appurato che non è Halloween, le chiedo se vuole entrare. Lei mi sorride, fa cenno di no con la testa, e voltandosi, con i ricci, il vestitino bianco con i fiori rossi, le scarpine, e il suo sorriso se ne va. Continuando a cantare.
Qualche secondo per accorgermi quanto mi manca lavorare con i bambini.

La nonna di Daisy è stata qui nel weekend. Mi ha lasciato sul letto un paio di espardenyes blu. Ha cucito l’orlo della tenda in sala che ora cade dritta e sicura in direzione del pavimento, e non è più costretta in un improbabile nodo.
Poche cose che scaldano il cuore e ti fanno sentire a casa anche qui.